Domenica 24 Febbraio i ragazzi del Consorzio hanno organizzato un’altra delle loro iniziative. L’evento, questa volta, è stato organizzato presso un altro dei nostri storici associati, ovvero l’ Osteria Dria dell’Acquasanta. Come sempre, i nostri soci ed amici hanno risposto entusiasti,, sia per l’originalità delle proposte gastronomiche sia per il desiderio di ritrovarsi insieme. Tuttavia lo straordinario, per chi ancora non ci fosse stato per sua iniziativa, è stato il locale stesso che, pur conservando la storicità della tradizione, ha saputo assumere una fisionomia del tutto particolare: il Dria è ed è stato certamente un’ istituzione che richiama alla mente un passato gastronomico glorioso.
Chi non ricorda la figura del mai abbastanza celebrato Dria?, con le sue originalissime proposte gastronomiche, la sua cura nel scegliere ingredienti e fornitori, ma anche la serena confidenza con i quali instaurava spesso e volentieri rapporti di amicizia con i numerosi clienti, suggerendo, con una competenza che non ha mai fatto pesare, il piatto giusto da sposare con il vino adeguato. Purtroppo ora il Dria, anche se ci può sembrare di vederlo ancora aggirarsi tra i tavoli, non è più con noi e, oltre ad un grande personale rimpianto, per nostra fortuna ci ha lasciato i suoi figli, ai quali ha passato la sua esperienza e cortesia. Chi apre oggi la porta del locale, trova subito il sorriso dei suoi figli.
Ci accoglie Francesco, famigliarmente chiamato Checco, con suo fratello Enrico, quest’ultimo solitamente dislocato nella cucina, cuore pulsante di questo posto straordinario. Il locale è quello storico, sotto le arcate del Santuario, ammodernato, ampliato e parzialmente adeguato secondo i gusti contemporanei. Lo scenario è quello suggestivo dell’Acquasanta: basta lasciare l’auto sul piazzale della storica chiesa o raggiungere il posto con la linea AMT n. 101, fare pochi passi, ed eccoci arrivati. Ecco Checco occupato, dietro al bancone, alla stesura della magica sfoglia, indispensabile alla preparazione della sua e solo sua mitica focaccia al formaggio, la cui originalità è la pratica che Francesco ha imparato direttamente dai maestri recchesi.
Così, quella domenica, siamo stati accolti tutti. Ci siamo accomodati ad una lunga tavolata ricoperta da una tovaglia caratteristica e propria del locale, decorata con la classica figura del carro e con una scritta in dialetto. Particolarmente gradito è stato l’aperitivo, della cui preparazione si sono occupati i ragazzi del Consorzio, unendo sapientemente il “Basilichito” (gazzosa al basilico) e l’immancabile Corochinato. La flute è stata servita con un antipasto comprendente l’ormai mitica mostardella del salumificio Torrigino di Vobbia, accompagnata da un mix di formaggi prodotto dagli amici e soci della Masseria Carbonara Sant’Isidoro (Campoligure) e dalle originalissime composte dell’agriturismo “Ca du Ratto” di Rossiglione. Sono comparsi sulla tavola anche dei vassoi colmi di una focaccia stracchinata con pesto di Prà e una originalissima focaccia inventata dal cuoco ed impastata sempre con lo stesso pesto, che ha mandato in visibilio le papille gustative di tutti presenti.
Tutto ciò ha fatto da preambolo all’ingresso trionfale della focaccia al formaggio, bella nella sua grande teglia e simile a un sole, in attesa soltanto di essere divisa tra i commensali. Una bontà unica, derivante dalla sapienza dei maestri fornai del Levante genovese, unita all’abilità del nostro Checco, capace non soltanto di dosare in maniera opportuna gli ingredienti, ma anche di preparare una sfoglia sottile e morbida come seta. Non a caso chi, dalle nostre parti, ha desiderio di gustare l’autentica focaccia al formaggio, fatta secondo i dettami della tradizione, non ha che da andare a sedersi nell’Ostaia cun cuxinn’a, sotto i portici del Santuario dell’Acquasanta ed uscirne completamente soddisfatto. A questa focaccia ne è seguita un’altra, arricchita con altri ingredienti: la focaccia al formaggio pizzata, marezzata dal rosso del pomodoro che ha accolto tra le sue braccia infuocate olive, capperi e acciughe salate. Il tutto è stato poi concluso con i dolci della pasticceria di Sambuco: i baci di dama e i celebri canestrelli, unico nel loro genere, hanno fatto la loro comparsa assieme ai cioccolatini ripieni di crema al basilico, basilico che, col suo aroma delicato, era presente anche nel liquore digestivo del bottiglificio Allara di Genova Prà che ha chiuso il pranzo e dato inizio alla ormai tradizionale lotteria del Consorzio, che ha visto in palio i prodotti della tradizione.
I premi in palio erano, ovviamente, i prodotti del nostro territorio, arricchiti anche questa volta da alcune new entry desiderose di farsi conoscere dai palati più esigenti in fatto di tradizione e genuinità. Alla fine, nel pomeriggio inoltrato, i partecipanti hanno cominciato ad abbandonare la sala, ma qualcuno ancora guardava la lavagna del Dria dove, come a scuola, Francesco ed Enrico sono soliti scrivere le loro ghiotte specialità: dai tradizionali ravioli, conditi con il caratteristico “tuccu” o con il sugo del brasato come si faceva un tempo, sino alla mitica punta di vitello al Barolo, il tutto inframmezzato da una varietà di altre pietanze insolita per quantità e per il rigoroso rispetto della tradizione gastronomica territoriale.
Francamente, anche se sazi, è difficile uscire dall’Ostaia senza gettare l’occhio su quella lavagna e pensare che si potrebbe assaggiare ancora qualcosa: come si fa a non essere tentati dai “mandilli de sea” conditi con il pesto o dalla trippa accomodata, o ancora da un accattivante stoccafisso? Difficile a farsi, se non pensando di ritornare a sedersi a quei tavoli! Proprio a questo proposito, siamo riusciti ad estorcere a Enrico e a Francesco la promessa di un prossimo incontro conviviale, in cui la regina della tavola sarà la mitica “minestra rubata”. Ma questa è tutta un’altra storia e non vogliamo anticiparvi nulla, se non dirvi che chi vorrà partecipare mangerà – è il caso di dirlo – pane e storia.