Cari amici, siamo ormai in autunno, con un clima non ancora del tutto freddo ma che si avvia a farci dimenticare, pian piano, i piatti dell’estate. E’ ben vero che quegli ingredienti, ormai, si possono trovare sul mercato in ogni giorno dell’anno, ma, come avevamo precisato all’inizio dei nostri appuntamenti, manterremo i ritmi della stagionalità, rispettando, laddove possibile, anche la nostra tradizione. Eccoci dunque a parlar ancora di pesce, ma, questa volta, di un pesce particolare: dello stoccafisso o, più brevemente, dello stocche, come amano chiamarlo i nostri vecchi concittadini. Si tratta di un elemento della cucina ligure molto antico che, nel passato, ha letteralmente, insieme ad altri alimenti, oggi considerati poveri, sfamato intere generazioni. Non ce ne vorrà chi ci legge se ora proviamo, a grandi linee, a raccontare la storia di questo pesce. Si tratta di una storia che viene da lontano nel tempo e nello spazio. Per averne le prime notizie bisogna andare in Norvegia e precisamente alle isole Lofoten dove i pescatori del luogo, da tempo immemore, avevano imparato a trattare il merluzzo artico (gadus morhua) che migra da quelle parti per deporre le uova tra febbraio ed aprile. Il pescato veniva poi eviscerato e lasciato per tre mesi appeso ad una rastrelliera ed esposto al particolare clima ventilato per completare l’essicazione che distingue lo stesso pesce da quello salato, comunemente chiamato baccalà, del quale si parlerà più avanti. Sin qua, nulla di notevole, qualcuno potrebbe dire. Ma la storia non si ferma qui: occorre arrivare a comprendere come da quelle isole lo stocche è arrivato sulle nostre tavole. Ed è qui che la storia si fa interessante perché a scoprirlo fu proprio un italiano, veneziano per la precisione. Un tale Pietro Querini che, nel 1432 naufragò proprio a sud di quelle isole e l’equipaggio, per sopravvivere, imparò a nutrirsi alla maniera degli abitanti di quei luoghi e non si può proprio dire che i marinai non apprezzassero, tant’è vero che, come per altre novità, portarono quest’uso a Venezia da dove si diffuse per varie parti d’Italia, radicando più volentieri nelle città di mare. Lo troviamo quindi a Genova, Livorno, Ancona e in Sicilia soprattutto a Messina dove i terremotati del 1908 vennero soccorsi anche da alcune navi norvegesi che portarono con i generi alimentari anche alcune balle di questo pesce. Varie sono le ricette possibili a base di stoccafisso che, a seconda della pezzatura, prima di essere cucinato, deve essere battuto e fatto rinvenire in acqua corrente. E, a proposito di ricette, va anche detto che questo tipo di pesce oltre a risultare particolarmente nutriente è anche facilmente digeribile perché povero di grassi, ma ricco di vitamine, proteine e sali minerali. Tra le preparazioni tipicamente liguri ne troviamo diverse a seconda delle zone di appartenenza tra le quali possiamo citare lo stoccafisso accomodato con pomodori, olive e pinoli, lo stoccafisso semplicemente bollito con le patate e condito con olio extravergine delle riviera. Un cenno particolare va, visto il nome della pietanza, al “branda cujun” ricetta tipica del ponente ligure che, per essere debitamente ultimata, esige che qualcuno tra i presenti scuota per bene la casseruola debitamente incoperchiata. Compito, questo, che era di competenza del più sempliciotto della compagnia il quale doveva , appunto, “brandare”, verbo che, nel dialetto di quelle parti, significa appunto scuotere.
La Ricetta dello Chef Santino
CONDIGGION DE STOCCHE (Insalata di Stocche)

Ingredienti: 600 gr. di stoccafisso, 300 gr. di patate, 100 gr. di pomodorini maturi, 30 gr. di erba cipollina o una cipolla di Tropea a dadini, un cuore di sedano a dadini, 80 gr. di olive taggiasche, olio E.V.O., sale e pepe bianco q.b., il succo di mezzo limone.
Preparazione: Bollire lo stoccafisso insieme alle patate affettate. Una volta cotte, pulire lo stocche, eliminare la pelle e le lische, sfaldare la polpa. Tagliare a dadini le patate.
Porle in una terrina e unire tutte le verdure preparate prima.
Condire con olio E.V.O., il succo di limone, sale e pepe.
LA BACIOCCA

Raccontate, dunque, queste poche cose a proposito di quello che, non troppo tempo addietro, qualcuno, vedendoselo nel piatto, lo aveva soprannominato goliardicamente come “pesce veloce del Baltico”, arrivato il momento di passare alla seconda ricetta che, per restare nel tema che ci eravamo prefissi all’inizio delle nostre conversazioni, deve riguardare un piatto tipico e di non difficile preparazione. Parleremo dunque della “baciocca”, una pietanza assai diffusa nel chiavarese e nell’entroterra del nostro Levante. Sai tratta di un piatto alquanto semplice per la preparazione e per gli ingredienti, di esso esistono diverse varianti dovute alla disponibilità momentanea di chi la sta preparando. Tuttavia l’ingrediente principale resta sempre la regina dei nostri monti: la patata ed, in questo caso la patata quarantina. Si tratta di un tubero dal sapore particolarmente delicato che ha la proprietà di giungere al punto di raccolta entro i quaranta giorni dalla semina. Ma la meraviglia di questa saporitissima torta salata non è data soltanto da questa caratteristica. Per gustarla appieno occorrerebbe trovarsela cotta con l’antico sistema che avevano i nostri contadini di quelle parti che prevede l’utilizzo del testo ossia di una campana in ghisa o terracotta che copre le braci, ingegnosamente disposte a terra e sulle quali, sopra un letto di foglie di castagno raccolte durante la buona stagione e preventivamente immerse in acqua bollente, viene disposto il piatto per la cottura. Si tratta di un sistema antichissimo che meriterebbe ben altra attenzione, ma, ahimé, lo spazio a nostra disposizione è purtroppo limitato e nelle nostre case una simile esperienza, per ovvi motivi, è impossibile. Non resta quindi, per chi proprio volesse provarla, di recarsi da quelle parti e, magari con l’occasione, visitare la miniera di Gambatesa e chiedere di alcune trattorie che, per la soddisfazione del cliente, hanno nel proprio menu dei piatti cotti ancora a quella maniera.
La Ricetta.
Ingredienti: 1 kg di patate, possibilmente quarantine, 3 uova, parmigiano q.b., 1 fetta di lardo, 1 spicchio d’aglio, una cipolla di media grandezza prezzemolo, olio, burro, sale, pepe.
Preparazione: Affettare molto sottilmente le patate, utilizzando, eventualmente, anche la mandolina. Porre le fette in un scolapasta per circa 20 minuti dopo averle condite con del sale fino per eliminare gli umori in eccesso. Tritare il lardo, il prezzemolo, la cipolla e l’aglio, far e soffriggere per una decina di minuti e aggiungere poi alle patate e al parmigiano. Porre il composto in una terrina foderata con una sfoglia sottile, fatta esclusivamente con farina acqua e sale. E cuocere in forno per circa trenta minuti. Questa è la ricetta che originariamente prevede la cottura sotto la campana. Esistono tuttavia delle varianti più ricche e più rapide che prevedono la bollitura del kg di patate successivamente passate al setaccio con l’aggiunta di 70 gr ca, di prescinseua, 30 di funghi secchi precedentemente ammollati e tritati con una spolverata di pan grattato e origano prima di infornare a 180° per una buona mezz’ora.