In cucina con Santino – Capitolo VIII: FARINATA DI CECI e ZIMINO

Eccoci nuovamente insieme in questo mese di novembre per raccontarci un po’ di storia gastronomica, della nostra cucina che, come si è detto, non è particolarmente ricca ed adatta a chi ricerca emozioni fantasmagoriche con artificiosi e, spesso, artificiali sapori. Essa però riserva nei fatti, con modeste energie ed una straordinaria forza inventiva, sorprese gradevolissime ai nostri sensi. Ancora volta siamo qui a parlare di un ingrediente fondamentale del nostro autunno: il cece, con tutte le sue possibili preparazioni.

Si tratta di un dicotiledone molto antico, forse uno dei primissimi ad essere reso domestico fin dalla notte dei tempi; di relativamente facile coltivazione, si adatta, per la sua buona resistenza, sia a climi mediamente siccitosi, sia a terreni non particolarmente ricchi. Non è un prodotto di grande resa: in ogni baccello possono trovarsi due o tre semi e per questa ragione in Italia non è tra le cultivar preferite, fatto questo che ne favorisce l’importazione da altri paesi soprattutto extraeuropei quali l’India, l’Australia e la stessa Turchia. Dalla Turchia infatti si presume che il cece si sia diffuso nel Medio Oriente e in Europa partendo dal mondo romano nel quale era apprezzato a tal punto che il nome scientifico cicer arietinum ci ricorda altri aneddoti tra i quali quello che ci riporta alla mente il famoso oratore Cicerone così chiamato a causa di un suo antenato che, proprio sul volto offriva, alla vista di chi lo guardava, una verruca con la forma propria del nostro seme. Forma che, se guardata bene, ricorda la testa di un ariete e di qui il secondo termine, appunto arietinum.

In Italia, come si diceva, di questo legume si fanno diversi usi che variano a seconda delle regioni, soprattutto Liguria, Toscana e, perché no, anche Sicilia. Il consumo avviene, al pari di altri legumi, dopo l’essicazione, fatto rinvenire in acqua, oppure ridotto in farina. Classica è la farinata che ha una sua storia assai sfaccettata a seconda di chi e di dove se ne parla. C’è chi fa risalire la sua prima preparazione in terra di Toscana e c’è chi invece, come i Liguri, ne rivendica la paternità richiamandosi ad un decreto del 1477 che disciplinò la ricetta vietando l’uso di olio di bassa qualità nella confezione della scripilita antico nome del piatto. C’è addirittura chi narra di navi genovesi di ritorno vittoriose dalla battaglia della Meloria che, a causa di un fortunale, trovarono la provvista di farina di ceci intrisa di acqua del Tirreno e dell’olio che si era rovesciato dai barili; da questa mistura seccata poi al sole si sarebbe originato il piatto. Tutte illazioni che vanno prese con le dovute cautele, sicura vi è soltanto la certezza che la fainà, come la chiamano i Genovesi, si gusta da tempo immemore tra le nostre strade dove le antiche sciammadde prosperavano nei vicoli con i loro forni, scoppiettanti di legna e i banconi rivestiti di bianche piastrelle, pronti ad accogliere i grandi tegami di rame stagnato dove, con mano veloce, il proprietario tagliava rombi di quel sole caldo, croccante e profumato, pronto a riscattare i primi freddi autunnali. Allora, in quei tempi in cui non tutti avevano la possibilità di usufruire di un forno casalingo, era facile trovare le massaie che scendevano con in mano un piatto o un vassoio da usare come contenitore per portare in casa, senza farla raffreddare, la farinata per la cena della famiglia. La farina di ceci non è – e non era – usata soltanto per questa delizia degli occhi e del palato che comunque conosce molte variazioni sul tema: può essere arricchita con cipolline, rosmarino ed altri aromi, a seconda della disponibilità e del capriccio del momento e, in taluni casi, si arriva addirittura all’aggiunta di ingredienti quali salsiccia o gorgonzola.

FARINATA DI CECI

Ingredienti:

600 gr. di acqua, 200 gr. di farina di ceci, sale q. b., un dl. di olio EVO.

Preparazione:

farinata di ceci.jpgin una ciotola mettere la farina di ceci, versare l’acqua fredda, salare, mescolare accuratamente per evitare la formazione di grumi e lasciar riposare per almeno 4/5 ore. Durante questo tempo togliere a più riprese l’eventuale schiuma che si può formare a fior d’acqua. Ungere abbondantemente un “testo” di rame stagnato (in mancanza va bene anche una teglia antiaderente) di 30 cm di diametro. Scaldare il forno a 250°, meglio ancora a 300°, se il forno lo consente. Aggiungere l’olio mescolando bene e versare la pastella nel testo: lo spessore non deve superare il centimetro. Porre in forno molto caldo a 250° (300°) sul ripiano alto (per gli esperti di cucina “cielo”) ed aspettare che si sia formata la crosta croccante e dorata: basteranno 10-15 minuti. A piacere, si può arricchire con rossetti, carciofi o funghi tagliati a fettine, stracchino.

Con la farina di ceci è possibile anche la preparazione di altri piatti non meno interessanti e non meno gustosi. Utilizzando le giuste dosi, si può anche confezionare la cosiddetta cecina, una sorta di polentina che, una volta raffreddata e tagliata a listarelle può essere semplicemente condita con olio, limone ed eventualmente una cipollina affettata sottilmente. Le stesse listarelle, chiamate dai genovesi tavellette, possono essere fritte ottenendo un risultato esaltante nella loro croccantezza che racchiude un cuore morbido e saporito. Preparazione, questa, in alcune regioni, più conosciuta ancora della farinata e diffusa anche al Sud, dove queste listarelle fritte, chiamate panelle vengono racchiuse, ancora calde in un panino e gustate anch’esse come cibo di strada. Come vedete i tanto sbandierati fast food e fingerfood non hanno proprio nulla da insegnare a noi che dello sgranocchiar bontà contenute dentro al cartoccio eravamo e siamo tuttora maestri. Si potrebbe continuare a raccontare di leccornie preparate con i ceci e la loro farina, ma tempi e spazi stringono e non vogliamo di certo annoiare il lettore con inutili pedanterie. Lasciamo ai più curiosi la possibilità di scrivere al nostro cuoco Santino che risponderà alle vostre mail dandovi le ricette che vi hanno eventualmente incuriosito.

Farinata di ceci

Tralasciamo quindi anche di parlarvi degli sfiziosi cuculli, ossia delle frittelle preparate con quella farina, per raccontare questa volta dello zemino di ceci confezionato, come vedrete nella ricetta che segue, con i ceci secchi interi, ovviamente fatti reidratare con un doveroso ammollo.

ZIMINO DI CECI

Ingredienti:

(dosi per 4 persone) ceci secchi gr. 300, mezza cipolla tritata, uno spicchio d’aglio tritato, mezza costa di sedano tritata, 6 cucchiai di olio EVO, foglie di bietole (zimino) private delle coste gr. 300, passata di pomodoro gr. 400, 8 crostini di pane abbrustoliti, sale.

Preparazione:

mettere a bagno in acqua fredda i ceci la sera prima con un pizzico di bicarbonato. In una casseruola ampia versare l’olio, aggiungere il trito di cipolla, aglio e sedano e far soffriggere alcuni minuti. Versare poi la passata di pomodoro, i ceci e un po’ di brodo vegetale. Dopo circa 30 minuti aggiungere le foglie delle bietole spezzettate a mano. Cuocere il tutto per 15 minuti circa a bollore lento. Servire lo zimino di ceci caldo, versandolo nelle fondine già “occupate” dai crostini di pane.

Si tratta di una ricetta particolare, preparata, come vuole la tradizione, per il giorno dei morti e per la vigilia del Natale, ma che ben si adatta alle fredde serate invernali e che non è neppure da escludere come piatto freddo durante l’estate. E’ una preparazione a base di ingredienti poveri, ma complessivamente ricca e molto sostanziosa. Si tratta di un piatto che non va confuso con lo zimino sardo a base di carne, il nostro è un piatto esclusivamente a base vegetale che affonda le sue radici in tempi lontani, probabilmente anche se, nel tempo sono comparse varianti di ogni genere con gli ingredienti più improbabili. Un piatto “povero”, ma molto sostanzioso e ricco di proprietà nutritive facilmente digeribili e assimilabili che, un tempo, si trovava in tutte le trattorie e che, ora, ahimè, è immeritatamente dimenticato, nonostante ne valga la pena, vista anche la facilità di preparazione e la modestia del costo decisamente inferiore al valore del prodotto finito.

Zimino di ceci

La storia di quest’ultima ricetta, come i ceci stessi, ha origini nel Medio Oriente, il termine con il quale la si designa oggi deriva dalla parola “asseminu o azzemin” di chiara matrice araba e questo si spiega con gli intensi contatti commerciali che i Genovesi avevano con quella parte di mondo. Vale dunque la pena di provare a far rivivere per un momento il buono del passato provando a metterlo nel piatto. Seguite la ricetta di Santino e sicuramente non avrete a pentirvene.

E con questo argomento chiudiamo la prima parte del mese di novembre salutandovi e dandovi appuntamento per il prossimo incontro.

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