Torta Pasqualina

Questa è la ricetta della torta pasqualina storica che mi è stata tramandata nei primi anni settanta dalla mitica e, purtroppo, ormai compianta Rina dell’Antica Sciamadda di Via S. Giorgio. Sciamadde a Genova erano detti appunto le botteghe con i forni a legna che vendevano torte e farinata. E, la Rina, vi posso assicurare, in questo campo era certo l’indiscussa regina proveniente da una dinastia di fainotti che affondava le sue radici nei primi decenni del XIX sec. Bene, dunque come si preparava la pasqualina. Anzitutto una sfoglia con acqua, farina e un pizzico di sale che veniva lavorata energicamente fino ad attenere un composto omogeneo e sufficientemente elastico che, dopo un riposo di almeno una mezz’oretta circa sotto un canovaccio, deve essere tirato siano ad assumere la consistenza di un foglio di carta. La Rina lo tirava facendolo volteggiare con le nocche, ma si può fare benissimo anche con un più prosaico mattarello. Alcune massaie tirano la sfoglia con la macchinetta per la pasta, ma, in questo caso, il risultato non è lo stesso. Fatto questo la si stende su una teglia unta con olio extravergine. A parte si prendono le bietole ben lavate e fatte asciugare sopra un canovaccio e, dopo averle affettate sottili come si affetta la nostra radicetta, si dispongono nella teglia già foderata dalla pasta per uno spessore di cica 4/5 centimetri. Le si condiscono sempre con del buon olio extravergine, possibilmente ligure, si aggiustano moderatamente con un poco di sale, si aggiungono alcuni cucchiai di prescinsoa e si rimescola il tutto con un cucchiaio di farina per riassorbire il liquido che il sale estrarrà dalle bietole. Ancora uno strato sottile di prescinsoa sopra a tutto il composto e, per finire, con il rovescio del cucchiaio, si praticano delle fossette sulla superficie dove verrà deposto un uovo intero. (la vera pasqualina, diceva la Rina, era senza le uova…quella con era la versione dei ricchi oppure era quella che si faceva a Pasqua quando le galline riprendevano a fare le uova). Il problema si poneva, o meglio si pone ora per la chiusura della torta. La tradizione vuole che, prima di andare in forno, il tegame sia coperto da trentatré sottili veli di sfoglia, tanti quanti gli anni di Cristo, che devono formare una cupola. Eccezionalmente li riduceva a tre o quattro che, con un abile volteggio, depositava sul tegame in modo che imprigionassero sotto l’aria necessaria a creare il caratteristico rigonfiamento a cupola. Mai e poi mai quel risultato doveva essere ottenuto, secondo la regina delle torte, con la miserabile cannuccia che, antigienicamente cercava di ottenere quel risultato che, per la Rina, era solo una bestemmia. Il tutto poi andava nel forno a legna sino a quando la superficie si colorava di un bel dorato brunito più intenso in alcuni punti. Risultato che si può ottenere tranquillamente anche nel forno di casa anche se, ahimé, il sapore non sarà proprio lo stesso. Si tratta di un piatto che va consumato tiepido o freddo, ricco di sostanza e di vitamine presenti anche nel liquido in eccesso che la farina non è riuscita ad assorbire e che alla torta conferisce un particolare sapore ed una gradevole morbidezza.torta pasqua

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