“Cucinare parole” e “Cibo e territorio” sono i titoli degli ultimi due incontri tenutisi in Villa Sauli rispettivamente il 3 e il 15 di questo mese di maggio. Chi vi ha partecipato ha potuto constatare come questi due eventi fossero strettamente interconnessi. Il primo di essi ha visto la partecipazione di Maurizio Sentieri con la sua arte affabulatoria e della bravissima Sabrina Burlando, seguita dall’avvicendamento di personaggi interessanti e autorevoli della nostra cultura gastronomica e non. Il tema delle parole in cucina è stato affrontato sotto tutti i suoi aspetti: da quello della parola scritta e quindi quello delle ricette, citando fonti autorevoli, sino a quello più tecnicamente raffinato della capacità evocativa che il cibo ha nella memoria. E qui si è citato, non certo a sproposito, Feuerbach e la sua massima “L’uomo è ciò che mangia” rilevando come effettivamente così è: la cucina, infatti, si propone come rivelatrice dell’identità di un popolo, della sua cultura, dell’economia e di molte altre sfaccettature del vivere quotidiano. Inoltre essa diviene anche evocatrice della storia personale. Quante volte, hanno affermato i relatori, il sapore di un cibo o una particolare fragranza da esso derivata, ci hanno fatto ricordare persone e situazioni da noi vissute e credute sepolte nella memoria che, invece, riaffiorano all’improvviso come freudianamente ripescate dal nostro inconscio. Ed è qui che il nostro modo di alimentarsi si inserisce in un ambito disciplinare vastissimo che, partendo dal nostro sentire, abbraccia la storia, la filosofia, l’economia, recando testimonianza di sé anche attraverso la letteratura e l’arte. Insomma, parlare di cibo è parlare dell’uomo nella sua interezza e, forse, non è affatto sbagliato affermare “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei, dove e quando stai vivendo”. Tutto questo, chiaramente, comporta una ricerca di tipo filologico assai approfondita perché sino al XIX sec. non abbiamo documentazione di tipo letterario che possa trattare tali argomentazioni. Bisogna infatti arrivare a Brillat Savarin o al nostro Artusi per trovare tali cenni, vuoi anche perché le ricette, in passato, appartenevano a singoli nuclei familiari e, nella migliore delle ipotesi, potevano identificarsi in territori che oggi noi definiremmo regionali. Ciò, in buona parte, spiegherebbe la ricchezza nella diversità della nostra gastronomia. Oggi, come ben sappiamo, nelle nostre librerie si trovano centinaia di libri di cucina che propongono ricette di vario tipo: da quelle più semplici a quelle più elaborate, a ciò si aggiunga la diffusione di tali messaggi attraverso la televisione o il web sempre pronto a dare risposte pressoché immediate. Ormai, si può dire, in questo mare magnum, che tutto sia inflazionato. Ma non è proprio così, perché stando agli indici di ascolto, i messaggi di questo tipo che riscuotono maggiore audience sono proprio quelli che raccontano una storia, ossia che esercitano quella funzione evocativa di cui prima si diceva. Tendenza, questa, che si è manifestata con forza nei primi anni del nuovo millennio e che, ora, si va affermando anche all’estero come in Inghilterra dove sta riscuotendo successo una pubblicazione che racconta le ricette delle singole casalinghe corredandole con la loro storia, vista attraverso i loro passaggi da una generazione all’altra. Si tratta di una novità che non ha faticato ad attraversare l’oceano per affermarsi anche negli S.U. dove alcune di queste figure sono passate da casalinghe a vere e proprie star, protagoniste di una nuova moda. Tutto questo, come ha precisato Sabrina, subito dopo l’intervento di Fabrizio, è storia, storie dei singoli che, insieme, fanno la storia collettiva. E, non a caso, è sempre Sabrina Burlando a citare la storia del nostro Panarello che, durante la crisi economica conseguente l’ultimo conflitto si è trovato a vendere la propria automobile per comprare il burro, necessario a continuare l’attività della propria azienda, dimostrando un’autentica passione per il suo lavoro non finalizzata, come oggi accade in molte aziende, al solo guadagno. Ma il cibo non è solo questo perché esso diviene, come precisato dall’ultimo degli relatori, anche condivisione. Condivisione nell’ambito della famiglia e non solo, esso finisce per diventare elemento simbolico di una comunità e di un passaggio generazionale.
Suggestiva poi è stata la conclusione dell’incontro con la lettura della poesia di F.T.Marinetti “Bombardamento di Adrianopoli” che ha fatto da preludio all’assaggio dei cocktails o meglio delle polibibite come italianamente definite dal padre del Futurismo che ha dato modo di eccitare la fantasia dei presenti con la sua “Giostra d’alcool”.
Ancora a proposito di evocatività gastronomica un rimando d’obbligo va fatto al lettore che troverà, a questo proposito, nello spazio dedicato alle nostre ricette, un esempio confezionato tra cucina, storia, territorio e, perché no, condito anche con più di un pizzico di buona scaramanzia. Andate a leggere nelle nostre ricette e troverete che il pollo può essere qualcosa di più del solito pennuto tanto spesso vilipeso in frettolose preparazioni.
Emozionante, invece, è stato il pomeriggio del 15 con la partecipazione in qualità di protagonisti dei ragazzi del Bergese che, dopo una presentazione del preside dell’istituto, hanno dato vita ad una serie di proposte ripensando i possibili menu di hotel e strutture di accoglienza in funzione del territorio sul quale si trovano. Ciò, come detto dal prof. Sentieri, risulta certamente un validissimo elemento di promozione del turismo pronto ad individuare non soltanto la novità nel distacco dai menu quasi standardizzati, ma anche la storia e le peculiarità del territorio nel quale ci si trova. In questi casi, soddisfare la curiosità degli ospiti, non è cosa difficile e neppure foriera di un appesantimento dei costi. Si tratta soltanto di accedere ad una migliore organizzazione non soltanto nell’ambito del servizio di sala, ma anche in quello dell’accoglienza che, in questi casi, oltre alla cortesia offre anche la sorpresa della novità e dell’innovazione. La parola è passata, quindi, ai ragazzi delle terze classi che hanno presentato le colazioni, individuando, qiuali elementi base delle stesse, i prodotti tipici del territorio. La prima ad affacciarsi in questa proposta è stata la focaccia di Recco la cui origine si fa risalire al tempo delle Crociate e che veniva proposta, nel giorno dei morti, alla fine dell’800 quale piatto tipico di quella ricorrenza. Da allora in poi il suo uso si diffuse durante tutto l’arco dell’anno a deliziare i palati dei liguri. La successiva star ad essere raccontata è stata la focaccia genovese le cui origini risalgono al sec. XV quando veniva distribuita durante le funzioni religiose. Sempre nell’ambito delle colazioni i ragazzi hanno proposto, specificandone le differenze, i conosciutissimi biscotti del Lagaccio e quelli della Salute risalenti, anch’essi, al XV sec. e diffusi nell’ambito dei marinai per i quali costituivano la caratteristica “galletta” preferita per la possibilità di una più lunga conservazione.
Finito il giro delle colazioni, la parola è passata alle classi quarte pronte a proporre, riflettendo su tutto il territorio ligure, dei menu legati alla tradizione delle quattro provincie. Il primo gruppo di studenti ha presentato il menu incentrato su La Spezia e quindi su una cucina contaminata, per ragioni di confine, con la Toscana. Ecco quindi l’affacciarsi una proposta costituita dai caratteristici sgabei, dagli insaccati, dal “bianco e nero” di agnello, dai celebri testaroli per finire con la dolce spungata. Si è passati quindi alla provincia di Genova dove non poteva mancare il cappon magro: piatto povero, costituito da pesce, galletta e avanzi, questo prima delle lasagne alla Portofino condite da un mix di pesto e sugo di pomodoro, seguite dalle tomaxelle e dal caratteristico pandolce genovese. Per quanto riguarda le province del ponente la parola è poi passata ad Imperia con il suo “cundiggiun” seguito dai pansoti ripieni di formaggio e patate e dal coniglio alla seborghina unito alle olive taggiasche e alle erbe aromatiche del territorio. Per finire la torta “stroscia”, caratteristica per essere confezionata con l’olio in luogo del burro e per lo sbriciolarsi tra le mani del fortunato avventore. La conclusione è poi toccata alla proposta savonese articolata in un menu di mare con un antipasto di farinata bianca, confezionata con la farina di grano anziché quella di ceci, caratteristica del genovesato, a seguire un primo di conchiglie condite con il sugo di asparagi violetti, con un secondo piatto di seppie in zimino per concludere con i caratteristici amaretti assortiti di Sassello.
Al termine di tutte e due le puntate, come sempre, il piacevole momento di degustazione delle proposte confezionate dai ragazzi del Bergese e piacevolmente degustate dagli intervenuti che, tra una chiacchiera e l’altra, hanno potuto scambiare, bicchiere e piatto alla mano, le proprie opinioni in merito agli argomenti proposti.