Un metodo estremamente efficace per combattere le noie della quarantena che gli Italiani stanno sperimentando è quello di mettersi il cappello da cuochi e rinchiudersi in cucina per delle ore intere. Per molti l’obbiettivo è sperimentare ricette nuove, quella torta che abbiamo visto sul giornale che non abbiamo mai avuto modo di preparare quando ci mancava il tempo, oppure quel manicaretto che abbiamo visto preparare alla televisione che non abbiamo mai provato perché troppo complesso, perché era “roba da grandi chef”. Noi del Consorzio “il Cammino di Santa Limbania” siamo molto più tradizionalisti.
Il nostro obbiettivo è quello di utilizzare il tempo a nostra disposizione per riscoprire i sapori di una volta, sperimentare le ricette storiche di una Genova che non esiste più e che rimane solo nei ricordi di pochi fortunati estimatori. Dopo aver preparato la sempiterna torta pasqualina per le festività Pasquali, ci siamo cimentati nel riscoprire altri tipi di torte salate della tradizione genovese, ricette relativamente semplici, che ci fanno riscoprire i profumi e i sapori della Genova dell’ottocento. I nostri esperimenti hanno quindi riguardato la preparazione di due ricette classiche della tradizione del genovesato, la torta di riso e la torta di cipolle, due piatti molto semplici ed i cui ingredienti sono di facile reperimento. Grazie alle nostre fonti interne (ringraziamo in particolare il Prof. Aldo Pastorino) è stato possibile replicare queste due ricette provenienti dall’epoca delle “sciamadde”, gli antichi tortai che preparavano i pasti per i “camalli”, i lavoratori del porto. Grazie al Professor Pastorino, che ha carpito questi segreti da una delle ultime “sciamadde” rimaste (stiamo parlando di una quarantina di anni or sono) è stato possibile conservare la formula di preparazione di queste torte, rimasta pressoché invariata dalla metà del XIX secolo.
Gli ingredienti sono estremamente poveri e rispecchiano e condizioni di allora. Oltre alla prescinseua, la tipica cagliata ligure presente nella preparazione di tutte le torte salate della tradizione, gli ingredienti sono classici, poveri. Stiamo parlando del riso, delle cipolle bianche, di un pochino di parmigiano reggiano (questo sì che una volta era un lusso”, un pugno di funghi secchi, oltre ovviamente al necessario per preparare una semplice pasta sfoglia (farina, olio d’oliva, sale, acqua). Ovviamente, le cipolle ed il riso sono le padrone di queste ricette, e la loro scelta è stata tutta fuorché casuale.
Il riso ha la qualità di assorbire molta acqua, ed una volta ingerito provoca più rapidamente di altri cibi la sensazione di avere lo stomaco pieno. In un’epoca in cui il cibo non era affatto scontato, questa ricetta aveva il pregio di sfamare le persone con poca sostanza, e ad un prezzo accettabile. Oggi, forse questa ricetta è quella più difficile da far piacere, se non fosse per la prescinseua mescolata al riso e al sapore di funghi secchi sarebbe di difficile gusto ai palati di oggi abituati ad essere bombardati da una miriade di sapori.
Un discorso simile può essere fatto per la torta di cipolle. Le cipolle hanno la qualità di essere oppilative, ovvero di dare anch’esse, tramite una sostanza da loro contenuta una volta rilasciata nello stomaco, di dare sensazione di pienezza. Non a caso i Genovesi fanno largo uso di questo prodotto (forse la versione sulla focaccia è quella più conosciuta), che costa anch’esso poco e riempie molto la pancia. Il contrasto poi tra le cipolle bianche dolci e la prescinseua acidula produce una sensazione piacevolissima, molto particolare per coloro che non sono avvezzi a questi sapori (incluso lo scrittore di questo articolo, lo devo confessare). I lettori di questo articolo diranno, ora che hai decantato le doti di queste portate è il momento di condividere la ricetta. Ebbene, purtroppo dobbiamo deludervi, il nostro obbiettivo (per ora) è soltanto quello di suscitare in voi un certo interesse, poiché quando torneremo pienamente operativi avremo molto tempo per discuterne assieme!